mercoledì 6 luglio 2022

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sabato 28 maggio 2022

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sabato 30 ottobre 2021

Devo morire

Brani tratti da "Riflessioni divote", di Sant'Alfonso Maria de Liguori.


È un ricordo molto utile per la salute eterna il dire spesso fra noi: Ho da morire un giorno. La chiesa ogni anno nel giorno delle ceneri dà questo ricordo ai fedeli: Memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris. Ma questa verità della morte ci vien ricordata molto spesso fra l'anno, ora dai cimiteri che incontriamo nelle vie, ora dalle tombe che vediamo nelle chiese, ed ora dai morti che si portano a seppellire.

I mobili più preziosi che portavansi gli anacoreti nelle loro grotte erano una croce ed un teschio di morto: la croce per ricordarsi dell'amore portato a noi da Gesù Cristo, e il teschio per ricordarsi del giorno della loro morte. E così perseveravano essi nella penitenza sino alla fine de' loro giorni; e morendo da poveri in quel deserto, morivano più contenti che non muoiono i monarchi nelle loro reggie.

(...) In questa terra chi vive più, chi vive meno; ma per ognuno o più presto o più tardi ha da venire la fine; ed in questa fine che sarà il punto di morte, niun'altra cosa ci consolerà, che l'aver amato Gesù Cristo, e l'aver patito con pazienza per amor suo i travagli di questa vita. No che non consolano allora né le ricchezze acquistate né gli onori avuti né i diletti presi. Tutte le grandezze di questo mondo non consolano i moribondi, ma loro dan pena; e quante più se ne son procurate, tanto più crescerà la pena. Dicea suor Margarita di sant'Anna monaca carmelitana scalza e figlia di Ridolfo II. Imperatore: A che servono i regni nell'ora della morte?

Oimè a quanti mondani avviene che quando sono più occupati a procurarsi guadagni, poderi e cariche, venga detto loro colla nuova della morte: Dispone domui tuae, quia morieris et non vives. Signor tale, è tempo che pensiate a far testamento, perché state male! Oh Dio, qual pena avrà colui che sta vicino a guadagnar quella lite, a prender possesso di quel palagio o di quel feudo, in sentirsi dire dal sacerdote ch'è venuto a raccomandargli l'anima: Proficiscere, anima christiana, de hoc mundo! Partiti da questo mondo e va a rendere i conti a Gesù Cristo! Ma ora non mi trovo apparecchiato bene. Ma che importa? ora bisogna partire.

Ah mio Dio, datemi luce, datemi forza di spender la vita che mi resta in servirvi ed amarvi! Se ora dovessi morire non morrei contento, morrei inquieto. Dunque che aspetto? che mi colga la morte con gran pericolo della mia salute eterna? Signore, se sono stato pazzo per lo passato non voglio esserlo più. Ora mi do tutto a voi, accettatemi voi e soccorretemi colla vostra grazia.

In somma per ognuno ha da venir la fine, e colla fine giungerà quel momento decisivo di avere una felice o infelice eternità: Oh momentum a quo pendet aeternitas! Oh pensassero tutti a questo gran momento ed al conto che in esso deve rendersi al Giudice di tutta la vita! (...) Certamente che non attenderebbero ad ammassar danari, e faticare per farsi grandi in questa vita che finisce; ma penserebbero a farsi santi e a diventar grandi in quella che non finisce mai.

Se dunque abbiamo fede e crediamo che vi è morte, giudizio ed eternità, procuriamo ne' giorni che ci restano di vivere solo a Dio. E perciò procuriamo di vivere da pellegrini in questa terra, pensando che presto avremo a lasciarla. Viviamo sempre a vista della morte, e negli affari di questa vita eleggiamo di fare quel che faremmo in punto di morte. Tutte le cose della terra o ci lasciano o le abbiamo da lasciare. Sentiamo Gesù Cristo che ci dice: Thesaurizate vobis thesauros in coelo, ubi neque aerugo neque tinea demolitur. Disprezziamo i tesori della terra che non possono contentarci e presto finiscono, e guadagniamoci i tesori del cielo che ci faranno beati e non finiranno mai.

Misero me, Signore, che per le cose della terra ho tante volte voltate le spalle a voi bene infinito! Conosco la mia pazzia di aver cercato nel tempo passato di acquistare gran nome e di far fortuna nel mondo. La fortuna mia voglio che non sia altra da ogg'innanzi che l'amarvi e fare in tutto la vostra volontà. Gesù mio, toglietemi voi il desiderio di comparire, fatemi amare i disprezzi e la vita nascosta. Datemi forza di negarmi tutto ciò che a voi non piace. Fate ch'io abbracci con pace le infermità, le persecuzioni, le desolazioni e tutte le croci che m'inviate. Oh! potessi morire per amor vostro abbandonato da tutti, come voi siete morto per me! Vergine santa, le vostre preghiere possono farmi trovare la vera fortuna ch'è d'amare assai il vostro Figlio; deh! pregatelo per me, in voi confido.

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La morte è certa (...). È incerto all'incontro il tempo e la qualità della nostra morte: onde ci esorta Gesù Cristo: Estote parati, quia, qua hora non putatis filius hominis veniet4. Dice estote parati, onde per salvarci non basta apparecchiarci a morire quando viene la morte, ma bisogna che allora ci troviamo apparecchiati ad abbracciarla in quel modo e con quegli accidenti ch'ella ci accadrà. Pertanto giova che ciascuno almeno una volta il mese replichi gli atti seguenti.

Eccomi, Dio mio, pronto ad abbracciare quella morte che voi mi destinate. Io da ora l'accetto e vi sacrifico la mia vita in onore della vostra maestà, ed anche in penitenza de' miei peccati, compiacendomi che questa mia carne, per cui contentare tanto vi offesi, sia divorata da' vermi e ridotta in polvere.

Gesù mio, unisco i dolori e l'agonia che allora dovrò patire ai dolori ed agonia che voi mio Salvatore soffriste nella vostra morte. Accetto la morte con tutte le circostanze che voi volete: accetto il tempo, tra molti anni o tra breve: accetto il modo, nel letto o fuori di letto, con prevenzione o all'improvviso, e con quella infermità dolorosa o meno dolorosa come a voi piace. In tutto mi rassegno nella vostra s. volontà. Datemi voi la forza di soffrire tutto con pazienza.

Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi? Vi ringrazio, Dio mio, primieramente del dono della fede, protestandomi di voler morire figlio della s. Chiesa cattolica. Vi ringrazio di non avermi fatto morire quando io stava in peccato e di avermi perdonato tante volte con tanta misericordia. Vi ringrazio di tanti lumi e grazie con cui avete cercato di tirarmi al vostro amore.

Vi prego a farmi morire ricevendovi nel s. Viatico, acciocché unito con voi io venga a presentarmi al vostro tribunale. Io non merito sentire dalla vostra bocca: Euge, serve bone et fidelis, quia super pauca fuisti fidelis, supra multa te constituam; intra in gaudium Domini tui. Nol merito; perché in nulla vi sono stato perfetto fedele; ma la vostra morte mi dà speranza d'esser ammesso in cielo per amarvi colà eternamente e con tutte le mie forze.

Amor mio crocifisso, abbiate pietà di me, guardatemi con quell'amore con cui mi guardaste dalla croce morendo per me. Delicta iuventutis meae et ignorantias meas ne memineris, Domine. I peccati mi spaventano, ma mi consola questa croce su cui vi miro morto per amor mio: Ecce lignum crucis in quo salus mundi pependit. Io desidero di finir la mia vita per finire di offendervi; deh voi pel sangue sparso per me perdonatemi tutte le offese fatte prima che mi giunga la morte! O sanguis innocentis, lava sordes poenitentis.

Gesù mio, io mi abbraccio alla vostra croce e bacio le piaghe de' vostri s. piedi, nelle quali voglio spirare l'anima mia. Deh! non mi abbandonate in quell'ultimo punto: Te ergo quaesumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redemisti. Io v'amo con tutto il cuore, v'amo più di me stesso, e mi pento con tutta l'anima d'avervi disprezzato per lo passato. Signore, io era perduto, ma voi per vostra bontà mi avete liberato dal mondo; ricevete dunque fin d'ora l'anima mia, per quell'ora in cui lascerà la terra (...).

O Vergine s., soccorretemi nel punto di mia morte. Sancta Maria mater Dei, ora pro me peccatore, nunc et in hora mortis meae; in te, Domina, speravi, non confundar in aeternum. Protettor mio s. Giuseppe, ottenetemi una s. morte: angelo mio custode, s. Michele Arcangelo, difendetemi dall'inferno in quell'ultimo contrasto. Santi miei avvocati, santi tutti del paradiso, soccorretemi in quel punto estremo. Gesù, Giuseppe e Maria, siate in mia compagnia nell'ora della mia morte.



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Dobbiamo essere lieti di essere perseguitati dai modernisti a causa della nostra fedeltà al Magistero perenne della Chiesa

Tempo fa un sacerdote mi ha confidato che stava soffrendo molto a causa della peste modernista.


[...] sono un giovane viceparroco e, pur sapendo che anche per voi laici di retta fede i tempi siano bui, penso che per noi preti siano peggiori: è dura resistere, soprattutto c'è sempre la tentazione dello scoraggiamento.
Aspetto sue notizie!
In Domino,
don [...]



Rev.mo Don [...],
                                          in effetti la situazione è drammatica a causa della persecuzione da parte dei nemici della Chiesa (soprattutto da parte dei modernisti), tuttavia sia noi fedeli laici sia voi sacerdoti, dobbiamo resistere alla tentazione di cadere nello scoraggiamento. Il diavolo è contento nel vedere un cristiano scoraggiato, perché può farlo cadere più facilmente in qualche trappola. Infatti un soldato scoraggiato, demoralizzato, demotivato, non è più idoneo al combattimento. E noi cristiani siamo continuamente occupati nel combattimento spirituale per la salvezza dell'anima.

“Gaudere et exultare nos voluit in persecutione Dominus, quia tunc dantur coronae fidei, tunc probantur milites Dei”, diceva l'eroico vescovo San Cipriano. È così, Dio vuole che nelle persecuzioni dobbiamo gioire ed esultare, perché è in esse che vengono messi alla prova i soldati del Signore e si riceve la corona della fede.


Padre Pio, Don Bosco, San Leopoldo Mandic, San Luigi Orione, Santa Teresa d'Avila e tanti altri santi subirono persecuzioni anche da parte di ecclesiastici, ma non si arresero mai allo scoraggiamento, anzi conservarono la pace del cuore anche nei momenti più difficili. Soffrire a causa della propria fedeltà al Redentore Divino è motivo di gioia interiore. Anche gli Apostoli quando vennero fatti fustigare dai capi del sinedrio, invece di scoraggiarsi gioirono per aver potuto soffrire qualcosa per amore di Gesù Cristo. 

Dunque il segreto della consolazione interiore nei tempi di persecuzione (e in tutti i momenti di patimento) consiste nell'offrire a Dio le proprie sofferenze. Ad esempio si potrebbe dire al Signore: “Ah, mio Dio! I modernisti mi criticano, mi ostacolano e mi perseguitano perché aderisco agli insegnamenti del Magistero perenne della Chiesa. Ciò è fonte di molte sofferenze per l'anima mia, ma io voglio sopportare tutti questi patimenti con rassegnazione cristiana per darti gusto. Perdono di cuore a tutti coloro che mi calunniano e mi perseguitano, perché so che tu vuoi che amiamo anche i nostri nemici, e io voglio fare tutto ciò che ti fa piacere. Certe volte sono tentato a tradire il Magistero perenne e di abbracciare la mentalità del mondo, come fanno i seguaci del modernismo, ma ti supplico di darmi la forza di rimanerti fedele a qualsiasi costo. Preferisco morire anziché tradirti! Ti ringrazio per questa croce che hai permesso che mi affiggesse, perché so che lo hai fatto per il bene dell'anima mia. Anche se adesso mi trovo nella tribolazione, so che un giorno vedrò con chiarezza che questa croce era un magnifico ricamo della tua infinita misericordia. Ti ringrazio per avermi chiamato a combattere la buona battaglia della fede in questa epoca drammatica per l'umanità, a causa della secolarizzazione della società e la conseguente apostasia di massa. Militia est vita hominis super terram! So che non sono stato messo su questa Terra per riposarmi, ma per combattere con ardore, da vero soldato di Gesù Cristo, la lotta contro il demonio, il mondo e le passioni della carne, per salvarmi l'anima e venire in Cielo ad amarti per l'eternità. In questo momento di grande sofferenza mi conforta sapere che un giorno tutte queste tribolazioni avranno fine e potrò finalmente unirmi a Te nella Patria del Cielo, dove insieme alla Beata Vergine Maria, agli angeli e ai santi potrò cantare con immensa gioia le tue misericordie. Così spero, così sia".

A me consolano molto le parole che Don Dolindo Ruotolo scrisse nel commento al Libro di Giobbe, meditando sulle parole: “Ad Deum stillat oculus meus” (“Il mio occhio lacrima rivolto verso Dio”). Infatti nel momento del dolore e della sofferenza, solo Dio può consolarci davvero. Ecco le parole del grande esegeta napoletano: “Perché ci angustiamo tanto? Volgiamo gli occhi al Signore con fiducia, poiché non è sulla terra il nostro conforto ma nel Cielo. Dio solo ci conosce, Dio solo può compatirci, Dio solo può consolarci. Gli uomini della terra sono verbosi, non sanno dire che parole, non possono dire che parole, spesso urtanti nel medesimo sforzo di renderle consolanti. L’occhio nostro lacrimi in Dio solo: Ad Deum stillat oculus meus. Come è bella questa parola di Giobbe! Stilli a Dio questo occhio che non può essere saziato da nessuna visione terrena, stilli a Dio, poiché non può trovare un padre più tenero di Lui, stilli a Dio depositando nel suo cuore, in mezzo alle lacrime, l’angoscia, la fiducia, l’amore, la speranza, l’unione perfetta alla sua Volontà: Ad Deum stillat oculus meus! Gli anni passano, la via che percorriamo non conosce il ritorno su questa terra, tutto muta intorno a noi, rimane solo Dio come nostra unica speranza: Ad Deum stillat oculus meus! Il nostro testimone è nel Cielo! Dio infatti conosce la nostra fralezza e la compatisce; conosce le nostre miserie e le perdona quando noi ricorriamo alla sua misericordia con sincero pentimento; conosce la condizione del nostro pellegrinaggio e ci aiuta. Quale conforto quando le creature irrompono contro di noi e ci giudicano male, il pensare che il nostro testimonio è nel Cielo e che Dio ci conosce! Oh! il Signore non rende mai vana la nostra speranza, e quando tutto ci sembra perduto, interviene Lui per difenderci e per far luce nelle tenebre. [...] Ripetiamo con Giobbe, quando le tempeste sono più fiere: Ad Deum stillat oculus meus.” 

Umanamente parlando non abbiamo nessuna possibilità di vincere l'immane conflitto contro la pestilenziale eresia modernista, tuttavia siamo sicuri della vittoria finale perché la nostra fiducia è riposta nell'aiuto onnipotente del Signore. Adiutorium nostrum in nomine Domini! Anche gli eroici combattenti Maccabei, pur disponendo di scarse forze militari, riuscirono ad infliggere ai loro oppressori pesanti sconfitte. A tal proposito il loro intrepido Condottiero affermò: “non in multitudine exercitus victoria belli, sed de cælo fortitudo est” (1 Machabæorum 3,19). Allo stesso modo la nostra vittoria sul modernismo non dipenderà dal numero dei combattenti o dai mezzi materiali a disposizione, la nostra forza viene dal Cielo! Certo, le difficoltà sono enormi, ma maggiori sono le avversità, più bella sarà la vittoria! Sursum corda!

Cordialiter


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(-) Adesso i modernisti fanno anche i virologi

Coloro che sono fedeli al Magistero perenne della Chiesa sanno bene che i teologi modernisti da diversi decenni stanno facendo strage di anime seminando a piene mani gravissimi errori contro la Fede e la Morale. In campo dogmatico i seguaci della “sintesi di tutte le eresie” negano il peccato originale, la Risurrezione corporale di Gesù, la verginità perpetua della Beata Vergine Maria, l’essenza sacrificale della Messa, la Presenza Reale di Cristo nel Santissimo Sacramento, l’esistenza del purgatorio, l’eternità dell’inferno, ecc. Ma i disastri più devastanti a mio avviso i modernisti li compiono in campo morale, ad esempio affermando che non sono gravemente peccaminose le trasgressioni al Sesto Comandamento, come la fornicazione, l’adulterio, la contraccezione, ecc.

Non sazi delle devastazioni compiute in campo teologico, da qualche tempo numerosi modernisti discettano di virus, vaccini, green pass, ecc., come se fossero esperti scienziati, ma fomentando tanta confusione. Per quanto riguarda i vaccini, io penso che i teologi debbano limitarsi a dire quali siano le condizioni affinché un farmaco possa essere assunto: deve essere efficace, deve essere sicuro per la salute, deve essere prodotto in modo etico. Se un determinato farmaco sia efficace e sicuro spetta dirlo agli studi scientifici fatti in modo serio, non alle elucubrazioni mentali di certi giornalisti ed opinionisti, né tantomeno dei teologi, per giunta adepti dell’eresia modernista!

Se un farmaco è inefficace, sarebbe irragionevole assumerlo. Se invece è efficace ma può causare gravi effetti avversi, bisogna valutare il rapporto tra i rischi e i benefici. Se un farmaco è efficace e sufficientemente sicuro ma prodotto in modo immorale, in questo caso se c’è una cooperazione remota si può assumere purché ci sia un motivo proporzionato. Questi sono i princìpi morali generali che i teologi modernisti dovrebbero affermare, invece li sentiamo sproloquiare atteggiandosi ad esperti virologi dopo aver “studiato medicina"... sui giornali di regime.

Ad esempio i teologi-“virologi”-modernisti affermano che certi farmaci sono “sicuri” nonostante le stesse case farmaceutiche che li producono affermano sui foglietti illustrativi che non sono note eventuali reazioni avverse a medio e lungo termine. Se i modernisti sui vaccini dispongono di dati e informazioni che sono ignoti persino alle case farmaceutiche, li rendano pubblici, oppure, se non li hanno, tacciano, onde evitare di fare disastri. Se per ipotesi un giorno si venisse a scoprire che quei farmaci nel lungo termine causavano malattie neurodegenerative, i modernisti che adesso sproloquiano saranno disponibili a risarcire i danni che anche a causa loro avranno subìto le vittime?

Tanti teologi-“virologi”-modernisti affermano che solo coi vaccini potremo finalmente uscire da questa pandemia. Eppure nel mondo ci sono migliaia di dottori che stanno salvando innumerevoli vite umane utilizzando le terapie domiciliari precoci. Fino ad oggi non ho mai sentito i modernisti chiedere ai governanti di approfondire l’argomento delle terapie. Parlano solo di vaccini. A questo punto la domanda sorge spontanea: ma voi, cari modernisti, volete salvare le vite umane o volete smerciare i vaccini? E se volete davvero salvare le vite perché non aprite mai bocca per parlare delle terapie che stanno dando ottimi risultati?

E per favore smettetela di calunniare tutti coloro che non la pensano come voi accusandoli di essere dei “negazionisti”! Io non conosco nessuno che neghi l’esistenza del Sars-CoV-2, però conosco tante persone che chiedono solamente che su questa pandemia e sui rimedi contro il Covid venga detta la verità.

Una zelante seguace di Santa Chiara

Oggi ricorre il decimo anniversario della morte, avvenuta nel 2011, di Madre Maria Pia Miari (nella foto a lato), la zelantissima Fondatrice delle Clarisse dell'Immacolata, una delle ultime figlie spirituali di Padre Pio da Pietrelcina. Per comprendere la caratura spirituale di questa degnissima seguace di Santa Chiara è sufficiente raccontare una sola cosa: mentre negli ultimi decenni tanti ordini religiosi hanno chiuso innumerevoli conventi e monasteri per mancanza di vocazioni, lei invece ha aperto vari monasteri di stretta clausura e ha fondato un nuovo ordine religioso che ogni anno attrae tante ragazze alla vita religiosa. È un qualcosa di straordinario!

La società in cui viviamo è fortemente secolarizzata, ormai tanta gente vive come se Dio non ci fosse. Per contrastare il degrado morale e la scristianizzazione è necessaria un'opera di rievangelizzazione. A tale scopo occorre riempire nuovamente conventi e monasteri con numerose e sante vocazioni. Ma come fare ad attrarre i giovani alla vita consacrata? Solo il Signore può toccare il cuore di una persona e “convincerla” ad abbracciare la vita religiosa, però bisogna dire che lo stile di vita esemplare dei buoni religiosi affascina la gioventù dal cuore generoso e ricco di valori cristiani. Basti pensare alle folle di giovani che si consacrarono a Dio dopo aver conosciuto personalmente San Benedetto, San Francesco, Santa Chiara, San Domenico, Santa Teresa, Sant'Ignazio, Sant'Alfonso, San Giovanni Bosco e tutti gli altri santi religiosi. Anche Madre Maria Pia era una calamita di vocazioni, speriamo che possano sorgere tanti altri Fondatori come lei, ce n'è tanto bisogno! Questa monaca di clausura era una donna profondamente umile, mansueta, ricca di carità verso Dio e il prossimo. Il pensiero che continuamente le occupava la mente era la salvezza delle anime per la maggior gloria di Dio. Il vero cristiano deve ardere dal desiderio di vedere la Santissima Trinità amata da tutti, e per raggiungere questo obiettivo deve impegnarsi nella preghiera, nella penitenza e nelle opere di apostolato secondo le proprie possibilità. Nel Giorno del Giudizio scopriremo quante anime si sono convertite grazie al silenzioso e nascosto apostolato delle suore di clausura. Dovremmo essere grati a queste eroiche persone che generosamente si immolano per il bene delle anime dei fratelli.

Madre Maria Pia nacque il 12 dicembre del 1933 ad Arsiero, un paesino in provincia di Vicenza. Nel 1958 su consiglio di Padre Pio entrò tra le Clarisse Urbaniste di Osimo (Ancona), le quali seguono la Regola di Santa Chiara mitigata da Papa Urbano IV. Grazie al suo stile di vita ascetico conquistò la stima delle consorelle, le quali nel 1974 la elessero abadessa del monastero. Però Madre Pia sentiva il bisogno di una vita religiosa ancora più radicale, inoltre era attratta dal carisma mariano di San Massimiliano Maria Kolbe, grande apostolo della devozione all'Immacolata, la Corredentrice del genere umano e Mediatrice universale di tutte le grazie. È così che nel 1995 alcune monache partirono da Osimo alla volta di Creazzo (Vicenza), dove diedero vita a una nuova riforma dell'ordine di Santa Chiara. L'8 maggio 2002 la Santa Sede concesse alle Clarisse di Creazzo di seguire la “traccia mariana di Vita Clariana” e le proprie costituzioni. Il 18 agosto 2004 ottennero l’erezione canonica. Un decreto del 29 luglio 2006 stabilì che i “Roseti” (monasteri) delle Clarisse dell’Immacolata sono canonicamente aggregati alla famiglia religiosa dei Francescani dell’Immacolata. Oltre ai voti di povertà, castità, obbedienza e clausura papale, professano anche il voto di consacrazione illimitata all'Immacolata. Non seguono la Regola mitigata da Urbano IV, bensì la Regola primitiva di Santa Chiara, che è una delle più austere tra quelle approvate dalla Chiesa Cattolica.

Madre Maria Pia aveva dei fenomeni mistici che lasciavano stupiti. Ad esempio a volte leggeva nella mente delle persone, e in certe occasioni era misteriosamente a conoscenza di fatti che avvenivano altrove, come quella volta che, mentre le monache erano riunite assieme, improvvisamente chiese di pregare per alcuni religiosi di loro conoscenza. Successivamente si seppe che proprio in quell'ora, a tanti chilometri di distanza, quei religiosi avevano evitato un grosso problema mentre stavano viaggiando in auto.

Una volta le bastò guardare negli occhi una ragazza poco praticante, e dirle con dolcezza: “Sai che ti voglio bene?”; e quella giovane donna si sentì cambiata, aveva compreso che nella vita tutto è vanità, fuorché amare Dio.

La fama di santità di Madre Pia Chiara Bernardetta della Corredentrice e degli Angeli (era questo il suo nome religioso per intero) è diffusa non solo ad Osimo e a Creazzo, ma anche in tante altre città d'Italia. Quando era in questa valle di lacrime era sempre disponibile a consolare gli afflitti e a pregare per le intenzioni che le affidavano i conoscenti. A maggior ragione possiamo credere che continua a pregare per noi anche adesso che finalmente (lo speriamo!) può contemplare il dolce Volto del suo amato Sposo e Redentore, Gesù Cristo.

(La salma di Madre Maria Pia Miari, Fondatrice delle Clarisse dell'Immacolata)

giovedì 28 ottobre 2021

Messa per i defunti

Sabato 30 ottobre verrà celebrata una Messa in suffragio delle anime dei parenti defunti dei sostenitori del blog.


Ringrazio di cuore il celebrante per la sua carità fraterna.

mercoledì 27 ottobre 2021

A voto segreto il Senato ha affossato il liberticida ddl Zan!

Vittoria!!! Vittoria!!!

I cattolici fedeli al Magistero perenne della Chiesa stanno esultando di gioia per l'esito della votazione a scrutinio segreto con cui il Senato della Repubblica ha affossato il ddl Zan sull'omofobia!

Ad affossare il disegno di legge sono stati i voti di 154 senatori contro 131, mentre un paio si sono astenuti. Se il ddl liberticida fosse divenuto legge dello Stato sarebbero stati guai seri per noi cattolici. Ad esempio se un cittadino avesse detto di essere contrario a concedere alle coppie gay la facoltà di adottare gli orfanelli, avrebbe rischiato di essere trascinato in tribunale. Oppure se un vescovo avesse espulso dal seminario un seminarista che pratica l'omosessualità, un giudice di idee laiciste avrebbe potuto condannarlo alla galera per "discriminazione omofoba" e ingiungere alla Chiesa di impartire lo stesso l'ordinazione sacerdotale a quel giovane. Insomma questo ddl Zan costituiva un grave vulnus alla libertà religiosa dei cattolici.

Inoltre il 17 maggio di ogni anno in tutte le scuole di ogni ordine e grado (persino alle elementari!) con la scusa della "giornata contro l'omofobia" ci sarebbe stato un elevato rischio che in tanti istituti agli studenti venisse di fatto impartita la propaganda in favore dell'ideologia gender.

Il voto avvenuto al Senato segna una dura sconfitta per il Partito Democratico di Enrico Letta e il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, i quali hanno fortemente voluto che il ddl Zan venisse approvato senza modifiche, dopo essere stato già approvato nel novembre dell'anno scorso dalla Camera dei Deputati. Grazie al Cielo in Italia vige ancora il bicameralismo perfetto, altrimenti il ddl Zan sarebbe legge dello Stato già da molti mesi.

Numerosi cattolici hanno pregato tanto affinché questo liberticida disegno di legge non venisse approvato. Dio ha esaudito le nostre preghiere e ha inferto una cocente sconfitta ai fautori dell'ideologia gender. Non a noi, ma a Dio sia data gloria!

venerdì 22 ottobre 2021

Dio castiga la gente tirchia

Quando nel 2008 fallì la Lehman Brothers, famosa banca americana fondata da ebrei, si scatenò una delle più gravi crisi economiche della storia. Ovviamente ero dispiaciuto al pensiero che la crisi avrebbe gettato nella polvere tanta gente, ma cercai di vedere la situazione in maniera soprannaturale, pensando che Dio avrebbe cercato di trarre qualche bene da questa catastrofe economica, ad esempio staccando il cuore di tante persone dall’attaccamento esagerato ai beni materiali. Può darsi che alcuni, dopo essere stati travolti dalla crisi, si siano convertiti e abbiano cominciato a vivere in maniera più cristiana, ma la mia impressione è che la massa si sia ulteriormente allontanata dalla pratica degli insegnamenti del Vangelo. Ho notato ad esempio che dilaga ancora di più la piaga della tirchieria. È chiaro che se una persona è stata davvero colpita dalla crisi, deve stringere la cinghia e fare sacrifici. Ma c’è tanta gente che sta bene e dalla crisi è stata al massimo appena sfiorata, tuttavia sta sempre a lamentarsi che i soldi non bastano mai, e intanto ammassa sempre più beni materiali.

Qualche tempo fa una mia amica monaca di clausura con la quale stavo dialogando nel parlatorio del suo monastero mi ha confidato che da quando nel 2008 è scoppiata la crisi, le offerte dei benefattori si sono ridotte all’incirca alla metà della metà. E potrei citare altri casi del genere. Ovviamente nessuno si aspetta che le persone davvero colpite dalla crisi (ad esempio quelle che hanno perso il lavoro oppure quegli imprenditori che hanno visto crollare il fatturato della propria impresa) aprano il portafoglio per aiutare i bisognosi, ma tanti altri che non hanno visto calare il proprio reddito rispetto al 2008, perché stanno sempre a piagnucolare? Non ne parliamo poi di quelli che fanno gli spilorci coi bisognosi e poi magari vanno a fare la fila per acquistare borse griffate da 1.000 euro nei negozi extralusso, sempre più affollati di clienti.

Ma la gente tirchia prima o poi riceve il castigo da parte di Dio. Ci sono stati dei personaggi che quando erano nell’abbondanza hanno chiuso il cuore al prossimo, ma poi il Signore li ha puniti permettendo che loro stessi cedessero nella miseria. Altri ancora non sono stati puniti in questa vita, ma dopo la morte, come raccontato da Gesù nel Vangelo: il ricco epulone banchettava lautamente e non aiutò il povero Lazzaro, ma poi venne la morte e venne condannato all’inferno eterno. A che gli è giovato fare una vita agiata e ammassare beni materiali, visto che poi si è dannato l’anima?

mercoledì 20 ottobre 2021

Il "parlare chiaro" preserva da un sacco di guai

Anni fa uno studente universitario mi ha confidato di sentire una forte attrazione per il celibato. Tuttavia da qualche tempo una compagna di studi sta mostrando un certo interesse nei suoi confronti. A tal proposito mi ha chiesto qualche consiglio su come poter capire quale stato di vita eleggere.


Caro fratello in Cristo, 
ti chiedo scusa per il ritardo con cui ti rispondo. Il tuo caso è delicato poiché non si tratta di una vicenda che riguarda solo te, bensì anche un'altra persona. Può darsi che quella ragazza si sia accorta che tu ragioni in maniera diversa dalla massa e quindi potrebbe essersi affezionata anche perché la tratti con rispetto, senza farle proposte contrarie alla Legge Eterna, come purtroppo fanno tanti altri ragazzi in questi casi. Quindi non mi stupisco che lei provi interesse verso di te. Ma proprio per questo motivo non vorrei che possa soffrire qualora tu decidessi di rimanere celibe.

Il Concilio di Trento insegna infallibilmente che lo stato celibatario è più perfetto dello stato coniugale, pertanto capisco la tua attrazione per esso. Ciò che conta davvero è fare la volontà di Dio, qualunque essa sia. Dio ti vuole celibe oppure marito cristiano e padre di famiglia? Ovviamente io non lo so, però ti dico quel che probabilmente farei se fossi al tuo posto: oltre a pregare lo Spirito Santo di farmi capire quel che Lui desidera da me, spiegherei a quella ragazza come la penso sul fidanzamento e sul matrimonio cristiano, dicendole chiaramente quel che insegna in proposito la Dottrina Cattolica su argomenti importanti come: castità prematrimoniale, indissolubilità del matrimonio "rato e consumato", rapporti coniugali da effettuare solo in modo naturale (cioè senza l'utilizzo di anticoncezionali o di altre pratiche contro natura), grave dovere di educare cristianamente la prole, ecc. 

Se una ragazza non accetta la morale cattolica, non penso proprio che sia volontà di Dio unirti con lei in matrimonio. Infatti se ti sposassi con una donna "poco timorata di Dio" ti metteresti in grossi guai e soffriresti molte angustie di coscienza.

Se invece una ragazza è attratta dalla vita devota e accetta il Magistero perenne della Chiesa, in questo caso potrebbe essere una brava moglie e un valido aiuto per conseguire il supremo ed eterno traguardo, quindi non possiamo escludere che sia volontà di Dio quella di formare una famiglia cristiana con lei. La Chiesa Cattolica ha urgente bisogno sia di numerosi e santi sacerdoti che di tante famiglie profondamente cristiane. Anche San Luigi Martin da giovane si sentiva attratto dal celibato (voleva addirittura diventare monaco), ma grazie a Dio si sposò con una pia donna (Santa Zelia Guerin) e formò con lei una splendida famiglia nella quale crebbe anche Santa Teresa di Gesù Bambino. Nel Giorno del Giudizio scopriremo l'enorme numero di anime salvate dalla Santa di Lisieux con le sue preghiere e penitenze, ma se suo padre non si fosse sposato, lei non sarebbe mai nata e tante anime si sarebbero dannate. 

Per esperienza personale posso dirti che il "parlare chiaro" mi ha preservato da un sacco di guai. Ad esempio anni fa una ragazza mi aveva manifestato il suo interesse (per fini matrimoniali) nei miei confronti, ma su alcune questioni morali (procreazione e indissolubilità del matrimonio) non la pensava esattamente come me, pertanto, pur essendo alquanto graziosa, le feci comprendere la mia perplessità nell'allacciare un'eventuale relazione sentimentale con lei. Non penso proprio che fosse volontà di Dio che io mi sposassi con una donna favorevole agli anticoncezionali e al divorzio.

Con altre donne che inizialmente erano interessate a me, successivamente sono sorte divergenze al riguardo del tema dell'educazione cristiana della prole. Lo scopo primario del matrimonio consiste nel procreare i figli nella speranza che un giorno diventino dei "cittadini del Cielo", ma se non ricevono una solida educazione cristiana rischiano di dannarsi e divenire "cittadini dell'inferno". La volontà di Dio è che nascano delle famiglie profondamente cristiane, non delle famiglie annacquate nelle quali si compiono compromessi al ribasso con la perfida mentalità mondana che dilaga nella società. Ecco perché è importante selezionare con cura il futuro coniuge.

Quindi ogni volta che una ragazza ti fa capire che è interessata a te, potresti seguire la mia "tattica" per avere maggiori elementi utili a comprendere se sposandoti con lei potresti dare gusto a Dio oppure mettere te stesso o i vostri figli in pericolo di perdervi.

Nella speranza di esserti stato di qualche aiuto, ti saluto cordialmente in Corde Matris.

Cordialiter

martedì 19 ottobre 2021

Lottare contro il difetto dominante

Dagli scritti di Padre Garrigou-Lagrange (1877-1964).


Che cos'è il difetto dominante?

È in noi quello che tende a prevalere sugli altri, e con questo sul nostro modo di sentire, di giudicare, di simpatizzare, di volere e d'agire. È un difetto che, in ciascuno di noi, ha una relazione intima col nostro temperamento individuale. Vi sono temperamenti portati alla mollezza, all'indolenza, alla pigrizia, alla gola e alla sensualità. Ve ne sono altri portati soprattutto alla collera, all'orgoglio. Non tutti saliamo sulla vetta della perfezione dallo stesso versante; quelli che sono di temperamento fiacco, debbono con la preghiera, la grazia e la virtù, diventare forti; e quelli che sono naturalmente forti al punto d'essere facilmente rigidi, debbono farsi dolci lavorando su se stessi e con l'aiuto della grazia. Prima di questa trasformazione progressiva del temperamento, il difetto dominante di ciascuno si fa spesso sentire. È il nostro nemico domestico, nell'interno di noi stessi, poiché può, se prende campo, giungere a devastare totalmente l'opera della grazia, ossia la vita interiore. È talvolta come una spaccatura in un muro che sembra solido e non lo è, come una crepa, talora impercettibile ma profonda, nella bella facciata di un edificio, che una forte scossa può far crollare. Per esempio, un'antipatia, una ripugnanza istintiva contro qualcuno, se non è vigilata e corretta a tempo dalla santa ragione, dallo spirito di fede e dalla carità, può produrre dei veri disastri in un'anima e condurla a commettere gravi ingiustizie, con le quali fa molto più male a se stessa che al prossimo, poiché è assai più dannoso il commettere l'ingiustizia che il subirla. Il difetto dominante è ancor più pericoloso perché spesso compromette la nostra buona qualità principale la quale è una felice inclinazione della nostra natura che dovrebbe essere sviluppata e poi nobilitata dalla grazia. C'è ad esempio chi è portato naturalmente alla dolcezza, ma se a causa del suo difetto dominante, che forse è la mollezza, la dolcezza degenera in debolezza, in indulgenza eccessiva, egli può giungere al punto di perdere ogni energia. Un altro al contrario, è portato naturalmente alla fortezza, ma se si lascia dominare dal suo temperamento irascibile, la fortezza degenera in lui in violenza irragionevole, causa di ogni sorta di disordini. In ogni individuo vi è del bianco e del nero, v'è un difetto dominante, ed anche una buona qualità naturale. Se siamo in stato di grazia, v'è in noi un'attrattiva speciale della grazia, che viene generalmente a perfezionare, anzitutto, quanto v'è di meglio nella nostra natura, per poi estendersi in seguito su quello che è meno buono. Così alcuni sono più portati alla contemplazione, altri all'azione. Dobbiamo quindi vigilare in modo tutto particolare affinché il difetto dominante non venga a soffocare la nostra principale buona qualità naturale, e la nostra attrattiva speciale della grazia. Altrimenti l'anima nostra sarà simile a un campo di grano invaso dal loglio o zizzania di cui parla il Vangelo. E noi abbiamo un avversario - il demonio - che cerca appunto di sviluppare sempre più in noi il nostro difetto dominante, per metterci in conflitto con quelli che lavorano con noi nel campo del Signore. In San Matteo (13, 25) il Salvatore ci dice: «Il regno dei Cieli è simile a un uomo che aveva seminato del buon grano nel suo campo. Ma mentre gli operai dormivano, venne il nemico, seminò la zizzania in mezzo al frumento e poi se ne andò». E Gesù spiega che il nemico è il demonio (13, 39) che cerca di distruggere l'opera di Dio mettendo in contrasto tra loro quelli che dovrebbero collaborare santamente ad una stessa opera per l'eternità. Ha una abilità tutta particolare nell'ingrandire agli occhi nostri i difetti del prossimo, a trasformare un granello di sabbia in una montagna, mettendo come una lente di ingrandimento alla nostra immaginazione, per farci irritare contro i fratelli, invece di lavorare con loro. Di qui possiamo intravvedere qual danno può provenire a ciascuno di noi dal nostro difetto principale, se non siamo vigilanti a reprimerlo. È spesso come un verme roditore dentro un bel frutto.


Come conoscere il nostro difetto dominante?

In primo luogo è evidente che importa assai il conoscerlo, e non farsi illusioni su tal punto. E tale conoscenza ci appare ancor più necessaria per il fatto che il nostro avversario, il nemico dell'anima nostra, lo conosce benissimo e se ne serve per mettere la discordia in noi e attorno a noi. Nella cittadella della nostra vita interiore, difesa dalle varie virtù, il difetto dominante è come il punto debole non difeso né dalle virtù teologali né da quelle morali. Il nemico delle anime cerca appunto in ciascuno di noi il punto debole, facilmente vulnerabile, e lo trova agevolmente. È dunque necessario anche per noi il conoscerlo. Ma come discernerlo? Nei principianti è assai facile, quando sono sinceri. In seguito, però, il difetto dominante diviene meno appariscente, poiché cerca di nascondersi camuffandosi da virtù; l'orgoglio prende al di fuori la veste della magnanimità, e la pusillanimità cerca di coprirsi col manto dell'umiltà. È necessario, tuttavia, arrivare a conoscere il difetto dominante, perché se non lo conosciamo, non possiamo combatterlo, e se non lo combattiamo non vi sarà in noi vera vita spirituale. Per poterlo discernere, dobbiamo prima di tutto chiedere a Dio la luce: «Signore, fammi conoscere gli ostacoli che metto, in modo più o meno cosciente, all'opera della grazia in me. Dammi poi la forza di eliminarli, e se sono negligente nel farlo, degnati eliminarli Tu stesso, per quanto io ne debba soffrire». Dopo aver così chiesto con grande sincerità questo lume dobbiamo esaminarci seriamente. E come? Chiedendo a noi stessi: A che cosa tendono le mie preoccupazioni più ordinarie la mattina al primo svegliarmi, o quando mi trovo solo; dove si fermano spontaneamente i miei pensieri ed i miei desideri? Qui dobbiamo ricordarci che il difetto dominante, che comanda facilmente a tutte le nostre passioni, si dà tutta l'apparenza di virtù, e se non fosse combattuto, potrebbe condurre alla impenitenza. Giuda vi arrivò con l'avarizia, vizio che non aveva saputo e voluto dominare; essa ve lo condusse come un impetuoso vento che sbatte una nave contro gli scogli. 

Per scoprire il difetto dominante, dobbiamo pure domandarci: «Qual è generalmente la causa o la sorgente della mia tristezza e della mia gioia? Qual è il motivo generale delle mie azioni, l'origine ordinaria dei miei peccati, soprattutto quando non si tratta di una colpa accidentale, ma di un seguito di peccati, o di uno stato di resistenza alla grazia, specialmente quando questo stato dura parecchi giorni e ci porta ad omettere i nostri esercizi di pietà?». Allora dobbiamo sinceramente ricercare il motivo per il quale l'anima ricusa di ritornare al bene. Dobbiamo dirci ancora: «Che ne pensa il mio direttore? Qual è, secondo lui, il mio difetto dominante? Egli è certamente miglior giudice di me». Difatti, niuno è buon giudice in causa propria, e qui l'amore proprio ci inganna. Bene spesso il nostro direttore ha scoperto questo difetto prima di noi, e forse si è provato qualche volta a parlarcene. Noi però abbiamo forse cercato di scusarci? E qui la scusa è pronta, perché il difetto dominante eccita facilmente tutte le nostre passioni, comanda loro da padrone, ed esse gli obbediscono all'istante. In tal modo, l'amor proprio ferito eccita bentosto l'ironia, la collera, l'impazienza. Inoltre, quando il difetto dominante ha preso radice in noi, ha una ripugnanza particolare a farsi smascherare e combattere, perché vuole regnare in noi. E questo giunge talora a tal punto che se il prossimo ci accusa di tal difetto, noi gli rispondiamo: «Avrò mille difetti, ma questo veramente non l'ho». Possiamo riconoscere il difetto dominante anche dalle tentazioni che il nostro nemico suscita più spesso in noi, poiché egli suole attaccarci soprattutto da questo punto debole dell'anima nostra. Finalmente, nei momenti di vero fervore, le ispirazioni dello Spirito Santo vengono a chiederci dei sacrifici precisamente su questo punto. Se ricorriamo sinceramente a questi vari mezzi di discernimento, non ci sarà troppo difficile il riconoscere questo nemico interiore che portiamo in noi e che ci rende schiavi: «Chi si abbandona al peccato, è schiavo del peccato», dice Gesù in San Giovanni (8, 34). È come una prigione interiore che portiamo in noi, dovunque ci rechiamo. Dobbiamo perciò aspirare ardentemente alla liberazione. Qual grazia è per noi l'incontrarci con un santo che ci dica: «Ecco il tuo difetto dominante ed ecco pure l'attrattiva principale della grazia che devi seguire generosamente per arrivare all'unione con Dio». È così che il Signore chiamò figli del tuono - boanerges- i giovani Apostoli Giacomo e Giovanni, che volevano far discendere il fuoco dal cielo sopra una borgata che si era rifiutata di riceverli. Leggiamo in San Luca (9, 56) : «Egli li ammonì, dicendo: "Non sapete di qual spirito siete! Il Figlio dell'uomo è venuto, non per perdere gli uomini, ma per salvarli". Alla scuola del Salvatore i due Boanerges divennero dolci e miti, tanto che San Giovanni evangelista al termine della sua vita non sapeva più dire che una cosa: "Figliuolini miei, amatevi l'un l'altro" (1 Gv 3, 18-23). E quando gli domandavano perché ripetesse sempre la stessa cosa, rispondeva: «È il precetto del Signore e se l'osservate, avete fatto tutto». Giovanni non aveva perduto nulla del suo ardore, della sua sete di giustizia, ma queste qualità si erano spiritualizzate e accompagnate a una grande dolcezza.


Come combattere il difetto dominante?

È estremamente necessario il combatterlo perché è il principale nemico interiore, e quando questo è vinto, le tentazioni non sono più tanto pericolose, ma sono piuttosto occasioni di progresso. Ma questo difetto non può dirsi vinto finché non v'è un vero progresso nella pietà o nella vita interiore, fino a che l'anima non è giunta ad un vero e stabile fervore di volontà, vale a dire, a quella prontezza della volontà al servizio di Dio che é, secondo San Tommaso, essenza della vera devozione. Per questo combattimento spirituale è necessario ricorrere a tre mezzi principali: la preghiera, l'esame e una sanzione. La preghiera sincera: «Signore, mostratemi qual è l'ostacolo principale alla mia santificazione, quello che mi impedisce di profittare delle grazie ed anche delle difficoltà esteriori che concorrerebbero al maggior bene dell'anima mia se al momento opportuno sapessi meglio far ricorso a Voi, mio Dio». I Santi arrivano fino a dire, come San Ludovico Bertrando: «Hic ure, Domine, hic seta ut in aeternum parcar. Signore, brucia e diretta in me tutto quello che mi impedisce di venire a Te, purché Tu mi faccia grazia per l'eternità». San Nicola da Flue diceva pure: «Signore, togli da me tutto quello che m'impedisce di venire a Te; dammi tutto quello che può condurmi a Te; prendimi a me stesso, e dammi tutto a Te». Questa preghiera non dispensa già dall'esame, ma al contrario, vi ci porta. Anzi - come dice S. Ignazio - sarebbe bene soprattutto per i principianti, di scrivere ogni settimana quante volte hanno ceduto al difetto dominante, che vuol regnare in essi come un despota. È più facile ridere senza frutto di questo metodo che praticarlo con vantaggio. Se contiamo il denaro speso e quello ricevuto, è ancor più utile il sapere quali sono le nostre perdite e i nostri guadagni dal punto di vista spirituale per l'eternità. Finalmente, è cosa opportunissima l'imporci una sanzione, una penitenza, ogni volta che ricadiamo in quel difetto. Questa penitenza potrà essere una preghiera, un momento di silenzio, una mortificazione interna o esterna. V'è in questo una riparazione della colpa ed una soddisfazione per la pena che le è dovuta. Al tempo stesso acquistiamo in tal modo maggiore circospezione per l'avvenire. Così molti sono guariti dall'abitudine di mandare imprecazioni coll'imporsi ogni volta un'elemosina in riparazione. Prima di vincere il nostro difetto dominante, le nostre virtù sono spesso piuttosto buone inclinazioni naturali che vere e solide virtù radicate in noi. Prima di questa vittoria, la sorgente delle grazie non è ancora abbastanza aperta sulle anime nostre perché cerchiamo ancora troppo noi stessi e non viviamo abbastanza per Iddio. Dobbiamo finalmente vincere la pusillanimità che ci porta a pensare che il nostro difetto dominante sia affatto impossibile a sradicarsi. Con la grazia, però, possiamo dominarlo, perché come dice il Concilio di Trento (Sess. VI, cap. 11), citando Sant'Agostino: «Dio non comanda mai l'impossibile, ma, dandoci i suoi comandi, ci dice di fare quanto possiamo dal canto nostro e di chiedere la grazia per compiere quanto non possiamo». È stato detto che, in questo caso, il combattimento spirituale è più necessario della vittoria, poiché, se ci dispensiamo da questa lotta, abbandoniamo la vita interiore, e cessiamo di tendere alla perfezione. Non dobbiamo mai far pace coi nostri difetti. Non dobbiamo, finalmente, prestar fede al nostro avversario quando cerca di persuaderci che tale lotta non conviene che ai Santi per giungere alle regioni più elevate della spiritualità. È verità indiscutibile che, senza questa lotta perseverante ed efficace, l'anima nostra non può aspirare sinceramente alla perfezione cristiana, verso la quale il comandamento massimo fa a tutti un dovere di tendere. Questo comando è difatti illimitato: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima tua, con tutte le tue forze e con tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10, 27). Senza questa lotta, non vi può essere né gioia interiore né pace, poiché la tranquillità dell'ordine, ossia la pace, proviene dallo spirito di sacrificio; questo solo ci stabilisce interiormente nell'ordine, facendo morire in noi tutto quanto vi è di sregolato. Solo allora la carità, l'amore di Dio e delle anime in Dio, finisce col prevalere del tutto sul difetto dominante, allora essa occupa veramente il primo posto nell'anima nostra e vi regna efficacemente. La mortificazione, che fa sparire il nostro difetto principale, ci dona la libertà, assicura il predominio in noi delle nostre vere qualità naturali e della nostra attrattiva speciale di grazia. Così arriviamo, a poco a poco, ad essere noi stessi, nel senso più ampio della parola, vale a dire ad essere soprannaturalmente noi stessi, senza i nostri difetti. Non si tratta di copiare in modo più o meno servile le qualità altrui, né di entrare in uno stampo uniforme, eguale per tutti. Nelle personalità umane regna una varietà grandissima, come nelle foglie e nei fiori non ne troviamo due che siano perfettamente eguali. Non dobbiamo però subìre il nostro temperamento ma trasformarlo conservando di esso quanto v'è di buono. Il carattere deve essere nel nostro temperamento, l'impronta delle virtù acquisite e infuse, soprattutto delle virtù teologali. Allora, invece di riportare istintivamente tutto a sé - come quando il difetto dominante regna in noi - ci sentiamo portati a ricondurre tutto a Dio, a pensare quasi di continuo a Lui e a non vivere che per Lui, conducendo in qualche modo verso di Lui tutti quelli che vengono a noi. 


(Brano tratto da "Le tre età della vita interiore" vol. II, di Padre Réginald Garrigou-Lagrange, Edizioni Vivere In)


 lll

lunedì 18 ottobre 2021

Don Bosco e gli angeli

Brano tratto dal secondo volume delle “Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco” raccolte dal sacerdote salesiano Giovanni Battista Lemoyne (1839-1916) e pubblicate nel 1901.


Don Bosco in sul finire di quest'anno si occupava nel terminare la compilazione di un suo libro sulla divozione dell'Angelo Custode, lavoro che aveva incominciato mentre ancora abitava nel Convitto Ecclesiastico. Si professava riconoscentissimo al Signore della grazia così grande elargitagli, coll'affidarlo alla custodia di un Angelo; e mille volte lo abbiamo udito ripetere: “Egli ha commessa di te la cura a' suoi angeli, ed eglino in tutte le vie tue saranno tuoi custodi. Ti sosterranno colle loro mani, affinchè sgraziatamente tu non urti col tuo piede nel sasso”. Perciò portava un tenero affetto e una grande divozione al suo Angelo tutelare e ogni anno ne celebrava la festa. Era così persuaso di averlo al fianco che si sarebbe detto lo vedesse co' suoi occhi. Lo salutava più volte lungo il giorno colla preghiera che incomincia Angele Dei, e confidava assai nella sua protezione in ogni passo della sua vita..

A lui raccomandava se stesso e tutti i suoi giovani ed oserei dire che questo spirito celeste lo aiutasse a fondare e governare le sue opere. Un giorno D. Bosco narrava come la Beata Giovanna della Croce fin da fanciulla fosse degnata della visibile presenza del suo Angelo Custode, come guidata da lui abbracciasse lo stato religioso e divenuta superiora del monastero amministrasse maravigliosamente ogni più difficile affare; e come insorgendo qualche inconveniente nella sua comunità il suo Angelo le suggerisse i modi e i mezzi onde correggere i difetti altrui. [...]

[Don Bosco] sapeva infondere nei suoi giovani una grande riverenza e un grande amore al loro Angelo Custode. Intonava esso stesso e soventissimo quella laude sacra che aveva musicata in onore del buon Angelo ed era cantata con trasporto dai giovanetti. Diceva loro: - Ravvivate la fede nella presenza del vostro Angelo, che è con voi dovunque siate. S. Francesca Romana se lo vedeva sempre davanti colle mani incrociate sul petto e cogli occhi rivolti al cielo: ma, per ogni suo anche più leggero mancamento, l'Angelo coprivasi come per vergogna il volto e talora volgeva le spalle. E perchè avessero fiducia in lui narrava sovente la storia di Tobia e dell'Arcangelo Raffaele, il gran miracolo dei tre Ebrei rimasi illesi nel fuoco della fornace di Babilonia, ed altri simili fatti dei quali è piena la Santa Scrittura, e la Storia Ecclesiastica. Non si stancava di ricordare nelle prediche questo tenerissimo celeste amico. - Fatevi buoni, diceva, per dare allegrezza al vostro Angelo Custode. - In ogni afflizione e disgrazia, anche spirituale, ricorrete all'Angelo con piena fiducia ed esso vi aiuterà. - Quanti essendo in peccato mortale furono dal loro Angelo salvati dalla morte perchè avessero tempo di confessarsi bene. - Guai agli scandalosi! Gli angeli degli innocenti traditi grideranno vendetta al cospetto di Dio. E come D. Bosco era ricco di consigli parlando in privato, ora all'uno ora all'altro secondo il bisogno e in particolare ai suoi penitenti! Ricordati che hai un Angelo per compagno, custode, ed amico. - Se vuoi piacere a Gesù e a Maria obbedisci alle ispirazioni del tuo Angelo Custode. - Invoca il tuo Angelo nelle tentazioni. Esso ha più desiderio di aiutarti che tu stesso di essere aiutato da lui. - Fatti coraggio e prega: anche il tuo Angelo Custode prega per te e sarai esaudito. - Non ascoltare il demonio e non temerlo, esso trema e fugge al cospetto del tuo Angelo. - Prega il tuo Angelo che ti venga a consolare ed assistere in punto di morte. E molti giovani narrarono più tardi a D. Rua, grazie straordinarie, e liberazioni dai pericoli ottenute con questa divozione, loro ispirata da D. Bosco.

venerdì 15 ottobre 2021

(-) Pensiero del giorno

[Brano tratto da “La Provvidenza e la confidenza in Dio", di Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange, traduzione autorizzata dal francese del P. S. G. Nivoli, Società editrice internazionale, 1933].



I principi che sostengono la bontà e la necessità dell’abbandono [in Dio, ndr] sono i seguenti:


1 - Nulla può avvenire che non sia stato previsto, voluto o almeno permesso da Dio da tutta l’eternità;

2 - Dio non può volere o permettere cosa che non sia conforme alle manifestazioni della sua bontà e delle sue infinite perfezioni e alla gloria del Verbo incarnato, Gesù Cristo, suo Figlio unigenito;

3 - sappiamo che “ogni cosa concorre al bene di coloro che amano Dio, di coloro che secondo il suo disegno sono chiamati” (Rm 8,28) e perseverano nel suo amore;

4 - l’abbandono alla volontà di Dio non esime nessuno dall’obbligo di osservare scrupolosamente la volontà di Dio significata nei comandamenti, nei consigli e negli avvertimenti, ma esige che si aggiunga a tutto questo un abbandono totale alla divina volontà di beneplacito, per quanto possa apparire misteriosa, evitando ogni inquietudine e ogni affanno.

lunedì 11 ottobre 2021

Leonarda Collin ha patito 17 anni in purgatorio

Dagli Scritti di Padre François Xavier Schouppe (1823-1904).


«Il fatto seguente ha qualche cosa di sì meraviglioso, che esiteremmo, dice il canonico Postel, a riprodurlo, se non fosse stato inserito in molte opere, secondo il Padre Teofilo Raynaud, distinto teologo e controversista del secolo XVII che lo riferisce come un fatto avvenuto ai suoi tempi e quasi sotto i suoi occhi. L'abate Louvet aggiunge che il vicario generale dell'arcivescovo di Besançon, dopo averne esaminato tutti i particolari, ne aveva riconosciuta la verità. - Nell'anno 1629, a Dòle, nella Franca Contea, Uga Roy, donna di mediocre condizione, era obbligata al letto per una pneumonia che faceva temere per la sua vita. Il medico, avendo creduto doverla salassare, ebbe l'inettezza di tagliarle l'arteria del braccio sinistro, il che la ridusse propriamente agli estremi.

L'indomani sul far del giorno, vide entrare nella sua stanza una giovane tutta vestita di bianco, con un contegno di bella modestia, che le chiede se è contenta di ricevere i suoi servizi e d'essere curata da lei. L'inferma, felice per questa offerta, risponde che niente le tornerà più gradito, e tosto la forestiera accende il fuoco, s'accosta ad Uga, dolcemente la ripone nel suo letto; poscia comincia a vegliarla e servirla come farebbe la più affezionata infermiera. Cosa meravigliosa! Il contatto delle mani di quella sconosciuta fu tanto benefico, che la moribonda se ne trovò grandemente sollevata e ben tosto si sentì interamente guarita. Allora essa volle assolutamente sapere chi fosse l'amabile sconosciuta, e la chiamò per interrogarla; ma questa si allontanò dicendo che ritornerebbe alla sera. Intanto lo sbalordimento, la curiosità furono estremi, quando si seppe di quella subitanea guarigione, e nella città di Dòle non si parlava che del misterioso avvenimento.

Quando la sconosciuta ritornò alla sera, disse ad Uga Roy, senza più cercare di nascondersi: «Sappiate, mia cara nipote, che io sono la vostra zia Leonarda Collin, morta da diciassette anni, lasciandovi erede della poca mia sostanza. Grazie alla divina bontà, io sono salva, e di tanta felicità sono debitrice alla Santa Vergine Maria, per la quale ebbi una grande divozione. Senza di lei io sarei perduta. Quando subitamente mi colpì la morte, era in peccato mortale, ma la Vergine misericordiosa in quel momento mi ottenne una perfetta contrizione, e così mi scampò dall'eterna dannazione. D'allora in poi io sono nel Purgatorio, ed il Signore mi permette di venire a compiere la mia espiazione servendovi per quaranta giorni. Terminato questo tempo, sarò liberata dalle mie pene se da parte vostra avrete la Carità di fare per me tre pellegrinaggi a tre santuari della Santa Vergine».

Uga, sbalordita, non sapendo che pensare di questo linguaggio, non potendo credere alla realtà di quella apparizione e temendo qualche insidia dello spirito maligno, consultò il suo confessore, il P. Antonio Rolland, gesuita, che la consigliò a minacciare alla sconosciuta gli esorcismi della Chiesa. Questa minaccia non la inquietò: tranquillamente disse che non temeva gli esorcismi della Chiesa. «Essi hanno forza, aggiunse, contro i demoni ed i dannati, ma nessuna contro le anime predestinate ed in grazia di Dio, come sono io». - Uga non era convinta. «Come mai, chiese alla giovane, potete essere la mia zia Leonarda? Questa era vecchia, debole, spiacevole e bisbetica, mentre voi siete giovane, dolce ed amabile. - Ah! mia nipote, rispose l'apparsa, il vero mio corpo si trova nella tomba, ove rimarrà fino alla risurrezione; quello che voi vedete è un altro corpo, miracolosamente formato dall'aria, per darmi modo di parlarvi, di servirvi e d'avere i vostri suffragi. Quanto al mio carattere difficile, collerico, diciassette anni di terribili sofferenze ben m'insegnarono la pazienza e la dolcezza. D'altronde, sappiate che in Purgatorio si è confermati in grazia, segnati col sigillo degli eletti, e perciò stesso esenti da ogni vizio».

Dopo tali spiegazioni, non era più possibile la incredulità. Uga, meravigliata al tempo stesso e riconoscente, con tutta contentezza ricevette i servizi che le erano resi durante i segnati quaranta giorni. Dessa sola poteva vedere ed udire la defunta, che veniva a certe ore e tosto scompariva. Appena le sue forze lo permisero, con tutta la divozione compì i pellegrinaggi che erano stati richiesti.

Al termine dei quaranta giorni, cessarono le apparizioni. Leonarda si mostrò un'ultima volta per annunziare la sua liberazione; allora trovavasi in uno stato d'incomparabile gloria, scintillante come un astro, e portava sul viso l’espressione della più perfetta beatitudine. Alla sua volta testificò alla nipote la propria riconoscenza, le promise di pregare per lei, per tutta la sua famiglia, e la impegnò a ricordarsi sempre, in mezzo alle pene della vita, del fine supremo di nostra esistenza, che è la salute dell'anima.


[Brano tratto da “Il dogma del Purgatorio”, di Padre Francesco Saverio Schouppe, traduzione di Don Antonio Buzzetti, tipografia e libreria San Giuseppe degli artigianelli, Imprimatur: Taurini, die 7 Aprilis, 1932, Can. Franciscus Paleari, Provic. Gen.].

domenica 10 ottobre 2021

Circa l'ermeneutica della rottura

Riporto un brano di un interessante articolo di Mons. Mario Oliveri, apparso sulla rivista "Studi Cattolici" del gennaio 2009.

"Si sta forse prendendo atto che là dove il Concilio Vaticano II è stato interpretato come discontinuità con il passato, come rottura, come rivoluzione, come cambiamento sostanziale, come svolta radicale, e, dove è stato applicato e vissuto come tale, è nata davvero un’altra chiesa, ma che non è la Chiesa vera di Gesù Cristo; è nata un’altra fede, ma che non è la vera fede nella Divina Rivelazione; è nata un’altra liturgia, ma che non è più la Liturgia Divina, ma che non è più la Liturgia tutta intessuta di Trascendenza, di Adorazione, di Mistero, di Grazia che discende dall’Alto per rendere davvero nuovo l’uomo, per renderlo capace di adorare in Spirito e Verità; si è andata diffondendo una morale della situazione, una morale che non è ancorata se non al proprio modo di pensare e di volere, una morale relativistica, a misura del pensiero non più sicuro di nulla, perché non più aderente all’essere, al vero, al bene".