sabato 17 agosto 2019

Il pio studio della teologia

Dagli scritti di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932).


Si può studiare la filosofia e la teologia in due modi: con la mente soltanto, come si studia ogni altra scienza, oppure con la mente e insieme col cuore. Quest'ultimo modo è quello che genera la pietà. Quando S. Tommaso s'immergeva nello studio profondo delle grandi questioni filosofiche e teologiche, non lo faceva come uno dei savi della Grecia, ma come discepolo e amante di Cristo; a questo modo, secondo la sua espressione, la teologia tratta delle cose divine e degli atti umani in quanto ci conducono alla perfetta conoscenza di Dio e quindi all'amore: "de quibus agit secundum quod per eos ordinatur homo ad perfectam Dei cognitionem, in quâ æterna beatitudo consistit". Ecco perchè la sua pietà superava anche la sua scienza. Lo stesso avveniva di S. Bonaventura e dei grandi teologi. È vero che la maggior parte di essi non lasciarono pie riflessioni sui grandi misteri della fede, tenendosi paghi di esporli e di provarli; ma la pietà scaturisce dal fondo stesso di queste verità: e chiunque studi con spirito di fede, non può fare che non ammiri ed ami Colui la cui grandezza e bontà ci viene rivelata dalla teologia. La qual cosa è specialmente vera per coloro che sanno giovarsi dei doni della scienza e dell'intelletto; dei quali il primo ci fa risalire dalle creature a Dio, svelandocene le relazioni con la divinità; e il secondo ci fa penetrare nelle verità rivelate, per coglierne le mirabili armonie.

Con l'aiuto di questi lumi, il pio teologo saprà elevarsi dalle verità più speculative ad atti di adorazione, di ammirazione, di riconoscenza e di amore che sgorgano spontaneamente dallo studio dei dommi cristiani. Questi atti non solo non ne intorpidiranno l'attività intellettuale, ma anzi la affineranno e la stimoleranno: si studia meglio, con maggior attività e costanza, ciò che si ama; vi si scoprono profondità che l'intelligenza sola non riuscirebbe a penetrare; e se ne deducono conseguenze che allargano il campo della teologia, alimentando la pietà.

[...] Allo studio però bisogna aggiungere la meditazione. Non si meditano abbastanza i dommi cristiani, o almeno non se ne meditano spesso se non gli aspetti accessori. Non bisogna paventare di affrontarli direttamente e nel loro fondo come soggetto principale delle nostre meditazioni. Avviene allora che l'anima, alla luce della fede, sotto l'azione dello Spirito Santo, tocca altezze e scopre profondità che l'intelligenza sola non coglierebbe. Ne abbiamo la prova negli scritti di anime semplici, elevate alla contemplazione, che ci lasciarono su Dio, su Gesù Cristo, sulla sua dottrina, sui suoi sacramenti, osservazioni tali da gareggiare con quelle dei migliori teologi. Del resto non disse S. Tommaso di aver imparato più alla scuola del Crocifisso che nei libri dei dottori? La ragione è che, nel silenzio e nella calma dell'orazione, Dio parla più facilmente al cuore, e che la sua parola, meglio intesa, illumina l'intelligenza, riscalda il cuore e scuote la volontà. In tali momenti lo Spirito Santo si degna di comunicare, oltre i doni della scienza e dell'intelletto, anche quello della sapienza, che fa assaporare le verità della fede, le fa amare e praticare, formando così una strettissima unione tra l'anima e Dio. È quello che venne sì bene descritto dall'autore dell'Imitazione: "Beata l'anima che ascolta il Signore parlargli interiormente e riceve dalla sua bocca parole di consolazione: Beata anima quæ Dominus in se loquentem audit, et de ore ejus verbum consolationis accipit..."

Il frequente e affettuoso pensiero di Dio durante il giorno continua e compie i felici effetti dell'orazione: pensando a Dio lo amiamo di più e l'amore affina la nostra conoscenza.


[Brano tratto da “Compendio di Teologia Ascetica e Mistica”, di Padre Adolphe Tanquerey (1854 - 1932), trad. P. Filippo Trucco e Can.co Luigi Giunta, Società di S. Giovanni evangelista - Imprimatur Sarzanæ, die 18 Novembris 1927, Can. A. Accorsi, Vic. Gen. - Desclée & Co., 1928]