mercoledì 18 agosto 2021

Dell'aridità di spirito

Brano tratto da "Riflessioni divote", di Sant'Alfonso Maria de Liguori.


Dice s. Francesco di Sales che la vera divozione e il vero amore verso Dio non consiste nel sentire consolazioni spirituali nell'orazione e negli altri esercizi divoti, ma nell'avere una volontà risoluta di fare e di volere solo quel che vuole Dio. Questo è l'unico fine per cui dobbiamo far l'orazione, le comunioni, le mortificazioni ed ogni altra cosa che piace a Dio, quantunque le facciamo senza sapore ed in mezzo a mille tentazioni e svogliatezze di spirito. Con aridità e tentazioni (dice s. Teresa) fa prova il Signore de' suoi amanti. Benché tutta la vita duri l'aridità, l'anima non lasci l'orazione: tempo verrà che tutto le sarà molto ben pagato.

Come avvertono i maestri di spirito, in tempo di desolazione dobbiamo principalmente esercitarci in atti di umiltà e rassegnazione. Non vi è tempo migliore a conoscere la nostra impotenza e miseria, che quando stiamo aridi nell'orazione, tediosi, distratti e svogliati, senza fervore sensibile ed anco senza desideri sensibili di avanzarci nel divino amore. Allora l'anima dica: Signore, abbiate pietà di me, vedete come sono inetto anche a fare un atto buono. Bisogna inoltre rassegnarsi, e dire: Dio mio, volete tenermi così oscuro, così afflitto; sempre sia fatta la vostra volontà. Non voglio esser consolato, mi basta qui stare solo per darvi gusto. E così bisogna persistere nell'orazione sino al tempo determinato.

La maggior pena poi delle anime d'orazione non è tanto l'aridità, quanto l'oscurità in cui l'anima si vede spogliata di ogni buona volontà e tentata contra la fede e contra la speranza. Talvolta si aggiungono impeti di tentazioni, e di tal differenza, ch'ella resta con gran timore di aver perduta anche la divina grazia, e le pare che Dio per li suoi difetti l'abbia discacciata da sé ed abbandonata; in modo che allora si vede come odiata da Dio; perciò in quel tempo la tormenta anche la solitudine e l'orazione le sembra un inferno. Allora bisogna far coraggio, e bisogna sapere che quei timori di aver dato consenso alla tentazione o alla diffidenza, quelli sono timori, son tormenti dell'anima, ma non sono atti volontari e perciò sono liberi da peccato. In quel tempo la persona ben resiste colla volontà alle tentazioni, ma per le tenebre che l'ingombrano non arriva a conoscerlo distintamente. E ciò si manifesta poi colla sperienza, mentre se appresso le occorresse di commettere un semplice peccato veniale avvertito, l'anima che ama Dio accetterebbe prima mille volte la morte.

Pertanto non si affanni allora a volere accertarsi che sta in grazia di Dio e che non vi ha peccato. Voi volete allora conoscere e star sicura che Dio vi ama; ma Dio in quel tempo non vuole farvelo conoscere, ma vuole che solo attendiate ad umiliarvi, a confidare nella sua bontà ed a rassegnarvi nel suo volere. Voi allora volete vedere, e Dio non vuole che vediate. Del resto dice s. Francesco di Sales che la risoluzione che avete (almeno colla punta della volontà) di amar Dio e di non volergli dare il minimo disgusto deliberato, vi assicura che state in grazia di Dio. Abbandonatevi in quel tempo in braccio alla divina misericordia; protestatevi che non volete altro che Dio e la sua volontà, e non temete. Oh quanto sono cari al Signore questi atti di confidenza e di rassegnazione fatti in mezzo a quelle tenebre spaventose!

S. Giovanna di Chantal per 41 anni patì queste pene interne accompagnate da tentazioni terribili e da timore di stare in peccato e di essere abbandonata da Dio. Era tanta la pena, che diceva in quel tempo, il solo pensiero della morte darle qualche sollievo. Diceva: Talvolta sembrami che se ne fugga la pazienza, ed io resti in punto di lasciare ogni cosa e di abbandonarmi alla perdizione. Negli ultimi otto o nove anni di sua vita le sue tentazioni invece di mancare furono più fiere, onde o facesse orazione o lavorasse, era sì grande il suo martirio interno, che faceva compassione ad ognuno che la praticava. Le pareva alle volte che Dio la discacciasse da sé: onde per sollevarsi volgeva lo sguardo da Dio; ma non trovando quel sollievo che cercava tornava a guardare Dio, benché le sembrasse contra lei sdegnato. Nell'orazione, nella comunione e negli altri esercizi divoti non provava che tedio ed agonia. Le pareva essere, come un infermo oppresso da' mali, impotente a voltarsi all'altro lato, muto che non potesse spiegare le sue angosce, cieco che non vedesse alcuna porta per uscire da quel fondo. Le sembrava aver perduto l'amore, la speranza e la fede; del resto ella teneva il guardo fisso in Dio riposando in braccio alla divina volontà. Diceva di lei s. Francesco di Sales che l'anima sua benedetta era un musico sordo ch'eccellentemente canta, ma non gode della sua voce perché non la sente. L'anima dunque che si trova nella prova dell'aridità, per quanto si veda oppressa dall'oscurità non si perda d'animo, confidi nel sangue di Gesù Cristo, si rassegni nel divino volere e dica così:

Gesù speranza mia, e unico amore dell'anima mia, io non merito consolazioni; datele a chi sempre vi ha amato, io mi ho meritato l'inferno, e di esser ivi da voi per sempre abbandonata, senza speranza di potervi più amare. Ma no, mio Salvatore, ogni pena accetto, punitemi quanto volete, non mi private di potervi amare. Toglietemi tutto, ma non voi. Miserabile qual sono, io v'amo più di me stessa e tutta a voi mi dono, non voglio vivere più a me stessa. Datemi forza di esservi fedele. O speranza de' peccatori, Vergine santa, nella vostra intercessione io confido; fatemi amare il mio Dio che mi ha creato e redento.



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