Dagli scritti di Sant'Alfonso Maria de Liguori, Dottore della Chiesa.
Chi non è umile, non può piacere a Dio, il quale non sopporta i superbi. Egli ha promesso di esaudir chi lo prega, ma se lo prega un superbo, il Signore non l'esaudisce; agli umili invece diffonde le sue grazie: "Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam" (Iac. 4. 6). L'umiltà si distingue in umiltà d'"affetto" ed umiltà di "volontà". L'umiltà d'affetto consiste nel considerare noi stessi per quei miseri che siamo, che niente sappiamo e niente possiamo se non far male. Quanto abbiamo e facciamo di bene, tutto viene da Dio. Veniamo alla pratica. In quanto all'umiltà d'affetto dunque, per primo non mettiamo mai confidenza nelle nostre forze e nei nostri propositi; ma diffidiamo e temiamo sempre di noi. "Cum metu, et tremore vestram salutem operamini" (Phil. 12). Diceva S. Filippo Neri: "Chi non teme, è caduto". Per secondo non ci gloriamo mai delle cose nostre, come dei nostri talenti, delle nostre azioni, della nostra nascita, dei nostri parenti e simili. Perciò è bene che non parliamo mai dell'opere nostre, se non per dire i nostri difetti. Ed il meglio è non parlar mai di noi, né di bene, né di male: perché anche nel dirne male, sorge spesso in noi la vanagloria d'esser lodati, o almeno d'esser tenuti per umili, sicché l'umiltà si riduce a superbia.
Per terzo non ci sdegniamo con noi stessi dopo il difetto. Ciò non è umiltà, ma superbia, ed è anche arte del demonio per farci diffidar in tutto e lasciar la buona vita. Quando ci vediamo caduti (...) umiliamoci e subito rialziamoci dal difetto commesso con un atto d'amore e di dolore, proponendo di più non ricadervi e confidando nell'aiuto di Dio. E se per disgrazia ritorniamo a cadervi, sempre facciamo così. Per quarto vedendo le cadute degli altri, non ce ne ammiriamo; ma compatiamoli e ringraziamo Dio [di non aver permesso che peccassimo anche noi], pregandolo a tenerci le mani sopra; altrimenti il Signore ci punirà con permettere che cadiamo negli stessi peccati e forse peggiori di quelli. Per quinto stimiamoci sempre i maggiori peccatori del mondo; e ciò quantunque sapessimo che altri abbiano più peccati dei nostri; poiché le nostre colpe commesse dopo tanti lumi e grazie divine peseranno più avanti a Dio, che le colpe degli altri, benché in maggior numero. Scrive S. Teresa: "Non credere d'aver fatto profitto nella perfezione, se non ti consideri il peggiore di tutti, e non desideri d'esser posposto a tutti".
L'umiltà poi di "volontà" consiste nel compiacerci d'essere disprezzati dagli altri. Chi ha meritato l'inferno, merita d'essere calpestato dai demoni per sempre. Gesù Cristo vuole che impariamo da lui ad essere mansueti ed umili di cuore: "Discite a me, quia mitis sum, et humilis corde" (Matth. 11. 29). Molti sono umili di bocca, ma non di cuore. Dicono: "Io sono il peggiore di tutti: merito mille inferni". Ma poi se uno li riprende, o gli dice una parola che non piace, si voltano con superbia. Questi fanno come i ricci, che subito che son toccati, si fanno tutti spine. Ma come? voi dite che siete il peggiore di tutti e poi non potete sopportare una parola? Il vero umile, dice S. Bernardo, si stima vile e vuol essere riputato vile anche dagli altri.
Per primo dunque, se volete esser vero umile, quando ricevete qualche ammonizione, ricevetela con pace e ringraziate chi v'ammonisce. Dice il Crisostomo che il giusto, quando è corretto, si duole dell'errore commesso; ma il superbo si duole che sia conosciuto l'errore. I santi anche quando son incolpati a torto, non si difendono, se non quando la difesa è necessaria per evitare lo scandalo degli altri, altrimenti tacciono e tutto offrono a Dio.
Per secondo allorché ricevete qualche affronto, sopportatelo con pazienza ed accrescete l'amore a chi vi disprezza. Questa è la pietra di paragone per conoscere se una persona è umile e santa. Se ella si risente, ancorché facesse miracoli, dite ch'è canna vacante. Diceva il Padre Baldassarre Alvarez che il tempo delle umiliazioni è tempo di guadagnare tesori di meriti. Guadagnerete più in ricever con pace un disprezzo, che se faceste dieci digiuni in pane ed acqua. Son buone le umiliazioni che facciamo da noi stessi, ma molto più vale l'accettar le umiliazioni che dagli altri vengono fatte a noi, perché in queste vi è meno del nostro, e vi è più di Dio; onde vi è assai maggior profitto, se lo sappiamo sopportare. Ma che sa fare un cristiano, se non sa sopportare un disprezzo per Dio? Quanti disprezzi Gesù Cristo ha sofferto per noi? Schiaffi, derisioni, flagelli, sputi in faccia! Eh se portassimo amore a Gesù Cristo, non solo non avremmo risentimento negli affronti, ma ce ne compiaceremmo vedendoci disprezzati, come fu disprezzato Gesù Cristo.
[Brano da me rielaborato e tradotto in italiano corrente per renderne più facile la comprensione, e tratto da "Pratica delle virtù cristiane", appendice del libro "Via della salute" di Sant'Alfonso Maria de Liguori].